Credere. Concepito per opera dello Spirito Santo, nato da Maria Vergine », per far riconoscere il prodigio dell’amore, che trova il fondamento in se stesso e perciò non verrà mai meno? Le frasi in questione fanno parte, come tutti ammettono, dei princìpi più screditati del dogma della Chiesa. Questa suscita tanta difficoltà, se non proprio repugnanza nell’ « uomo moderno ». « Allora, bisogna credere questo per essere cristiani? Non si può farcela realmente senza di questo? ». Io risponderei: non si può assolutamente « farcela ».
Non si « è necessitati » affatto a credere, per essere cristiani. Non si è cristiani perché si fa, si pensa, si crede, si sperimenta, si dice questo e quello. L’abbiamo appena sentito: in questo sta l’amore, non nel fatto che noi amammo Dio, ma che Egli amò noi. Delle « profezie, del dono delle lingue, della scienza » di cui Paolo dice che « svaniranno », cioè che hanno un limite (il nostro proprio limite), fa parte indubbiamente anche la professione di fede della Chiesa.
Credere alla rivelazione divina
La sua verità riposa nel suo oggetto, non in se stessa, quindi nella Rivelazione divina. Non in ciò che essa può dirne. Perciò non si è o non si diventa effettivamente cristiani, solo ripetendone la professione di fede. Ma per il fatto invece che la Rivelazione si rivolge a noi, che noi le consentiamo di dire a noi ciò che dice, e che noi ripetiamo, con qualsiasi imperfezione umana si possa pensare, ciò che ci è suggerito.
Ora, noi supponiamo che la Rivelazione divina riguardi « l’uomo moderno » esattamente come riguardava l’uomo antico e medioevale e come riguarderà l’uomo dell’anno 3000. Che cosa di meglio dovremmo fare a Natale, allora, dell’accostarci proprio con questo presupposto ad ogni popolo? Nella notte santa l’angelo ha anche manifestato questa premessa.
Il compito dell’uomo moderno
Noi presupponiamo che « l’uomo moderno » che legge questo scritto, si lasci dire ancora una volta. Tu non solo ami con quell’amore che verrà meno. Ma sei amato con quell’amore che non verrà mai meno, che tu non hai assolutamente meritato e non puoi affatto ricambiare. Ma poi potrebbero sorgere, in base a questa ipotesi, domande diverse da quella liberale, triste e anche un po’ noiosa e insulsa: « Ma si deve (muss) poi credere questo? ».
Credere: la professione di fede della Chiesa
Che cosa significa « dovere »? Non si deve affatto, nel senso di una necessità! Nessun uomo deve, è costretto a dovere!
Ma forse non si può fare altrimenti, e allora forse si ha bisogno di credere! Poi, forse, non si ha più nessun piacere a intendere la professione di fede della Chiesa come un’ « opinione » (un’opinione un poco antiquata, verosimilmente), cui ci si dovrebbe affrettare a contrapporre, come si usa per le opinioni, la propria « opinione », discutendo allegramente; ma poi la si ascolta – perché si è già anche noi nella Chiesa, ma solo per il fatto che è la professione di fede della Chiesa – a dispetto di tutte le considerazioni individuali, almeno con rispetto, con la disciplina, per cui, in ogni caso, la propria « opinione » non è la misura di tutte le cose.
La professione della fede
Conoscendo la carità che non verrà mai meno, si sapranno onorare in tutti i casi, con Paolo stesso, i limitati « doni dello Spirito Santo », cui appartiene appunto anche la professione di fede della Chiesa.
Ma poi si diverrà fors’anche un po’ più critici verso noi stessi e ci si domanderà se le riserve individuali contro la professione di fede derivino realmente da una fede migliore nella Rivelazione (solo in questo caso, anzi, potrebbero essere riserve serie) e non forse semplicemente -diciamolo una volta – da impedimenti « ideologici ». Questi sono già stati – cosa che generalmente non si sa o non si vuole sapere – per lo meno altrettanto causa di difficoltà per l’uomo del secondo o dell’undicesimo secolo, in rapporto al credere « questo ».
Ma proprio per questo essi non sono una prova contraria a che la Chiesa faccia forse molto bene a credere « questo », perché la professione della fede (per quanto difficile possa riuscire per l’uomo), come professione che non elude lo scandalo della Rivelazione e della fede, che vuole vedere e riconoscere come tale l’enigma della realtà di Dio, non può, forse, essere affatto un’altra.
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