Il mito del Natale. Il Natale ha ben poco in comune con le concezioni mitiche, anzi: in virtù d’esso si realizza quella distinzione che la Rivelazione compie, la distinzione fra ‘eone antico’ e ‘eone nuovo’ – così la descrive Hòlderlin.
Il mistero della sua origine divina è come evocato da questo segno semplice e umile, da questo inizio di kénósis (abbassamento) che si prolungherà fino alla croce, da questo cercare un posto per chi trova difficoltà a trovare un posto.
Il mito del Natale
La nascita più misteriosa è illuminata: nell’origine divina e umana di Gesù sono già posti i germi di quella fede degli apostoli, di quella fede della Chiesa che riconoscerà nel bambino di Betlemme, in Gesù morto e risorto, il “vero uomo e vero Dio” (cf. concilio di Caleedonia, 451; DS 301-302), una misteriosa unione (ipostatica) di umanità e divinità.
Il mito del Natale: la nascita di Cristo
Il mito del Natale
Questo bambino, nella sua povertà e piccolezza, non costituisce un fastidio, e tanto meno uno scandalo per i pastori dei campi vicini, pastori che, avvertiti nottetempo, sono infine simbolo di un Israele che ha riconosciuto il suo Signore. Anzi, ridando fiato alle voci dei profeti/senti-nelle (“Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”, v. 11; cf. Is 9, 5), il bambino è, per loro, un segno di Dio, un annuncio gaudioso, il compiersi di tante attese.
Quello che S. Kierkegaard, più tardi, chiamerà “il paradosso del Cristianesimo”, ossia il fatto che Dio è apparso nella debolezza della condizione umana, si manifesta proprio già in questo evento di Betlemme, inizio del cammino verso il Calvario e verso la risurrezione.
La nascita di Cristo come avvento
“La nascita di Cristo, infatti, si colloca nella storia in modo altrettanto saldo e incancellabile quanto la sua morte in croce, ma anche questa riceve la sua luce soltanto dalla risurrezione del crocifisso” (R. Schnackenburg).
Il mito del Natale
Tutto il nostro esistere conosce qui l’evenienza della dimensione eristica; questa, alla luce del mistero pasquale, riconosce che il Figlio di Dio s’è fatto uomo; proclama che contro la futura croce si dissolve ogni discorso ri-duttivistico (o mitico), segnalando così che anche quella ‘mangiatoia’ (en phàtnè(i), ‘in prae-sepio: v. 7) riceve la sua luminosità dal prossimo evento della crocifissione, rivelando subito una testimonianza dall’agire paradossale e ‘incredibile’ di Dio, il quale – con il dono del bambino – intese offrire a noi, appunto nella kénósis, il suo avvento-incarnazione, la sua più-interessante e più profonda venuta.
Le testimonianze del mito del Natale
Il mito del Natale
Un rilievo artistico ci permette di esplicitare questo dato: chi osserva l’abside policroma della basilica romana di S. Maria Maggiore noterà, tra gli altri misteri della vita del Signore, una significativa rappresentazione della sua natività: la culla che accoglie il Bambino non è una semplice mangiatoia di legno, ma è a forma di sepolcro rettangolare. L’artista ha espresso il significato della nascita di Gesù: il suo natale è già in prospettiva della morte in croce (le fasce di Maria per il neonato, le bende di Giuseppe d’Arimatea per avvolgere il corpo del Crocifisso: cf. Le 23,52-53), in prospettiva della risurrezione. Come a dire: la nascita di Gesù ha valenza teologica e soteriologica.
Il lieto annunzio della nascita: il mito del Natale
Ossia, “la Via, che è Cristo” (cf. Gv 14,Anche l’annuncio ai pastori possiede un significato teologico di salvezza: nella notte dei pastori, “la gloria del Signore li circondò di luce” (v. 9), ovvero la gloria di Dio, simbolo della sua trascendenza, diviene anche la forma della sua rivelazione, e ciò non deve comportare per l’uomo la paura , bensì il lieto annunzio della nascita: è l’evangelo (“Ecco, infatti vi evangelizzo”, v. 10; ‘evangelizzare’ significa appunto portare a tutti gli uomini l’annuncio della nascita di Cristo in terra), ossia l’annuncio di una grande gioia, la festa – come dice bene Rahner – “dell’eterna giovinezza”.
Così, attraverso questi testi, i credenti (i pastori e noi, i ‘poveri’ secondo il Vangelo) “raggiungono la realtà nella sua duplice dimensione umana e divina, dato che qui si tratta di incarnazione” (R. Laurentin).
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