La corona dell’Avvento

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La corona dell’Avvento è una tradizione nat alizia tipica dei paesi Bassi e di origine anglosassone. Si tratta di una ghirlanda contenente al suo interno 4 candele la cui realizzazione fu ad opera per la prima volta di un pastore protestante, Johann Hinrich Wichern, durante la metà del 1800. L’obiettivo del pastore era quello di … Leggi tutto

Come nascono le luci di Natale

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Come nascono le luci di Natale. Decorare interni ed esterni durante il periodo Natalizio richiede tanta inventiva e creatività. Le luci natalizie sono fondamentali per l’allestimento dell’albero di Natale ma non solo. Quando si addobba l’albero bisogna scegliere con cura tutti i decori e gli allestimenti poiché grazie ad essi è possibile conferire alla casa … Leggi tutto

La festa della purificazione

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La festa della purificazione. A Gerusalemme, quaranta giorni dopo Natale, a partire dal secolo v si celebrava una festa speciale. Era detta la festa dell’incontro o della purificazione. A Roma si celebrava in questo giorno la presentazione di Gesù al tempio. La pietà popolare ha sempre collegato questa festa a Maria e l’ha, quindi, chiamata messa della luce di Maria (Candelora). In altri tempi, con questa festa terminava il tempo di Natale. La riforma liturgica ha abbreviato il tempo di Natale, che termina oggi con la festa del battesimo di Gesù.

A Roma per la festa della presentazione del Signore si faceva una solenne processione di luci. Probabilmente la chiesa vi ha ripreso una processione di purificazione d’origine pagana, visto che a Roma all’inizio di febbraio queste processioni erano usuali. Così, anche in questo caso, si possono riconoscere le radici pagane della festa. Mostrano che la festa per i cristiani aveva un significato archetipo. Che cosa, però, questa festa può dire a noi oggi?

la festa della purificazione

La festa della purificazione: significato

La festa della purificazione

la festa della purificazione


È la festa dell’incontro tra Maria e il canuto Simeone. Simeone prende il bimbo in braccio e loda Dio con queste parole: “I miei occhi hanno visto la salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Lc 2,30). Tra i miei rituali di questa giornata, ascolto la cantata di Bach che si intitola Ich habe genug [Questo mi basta] .

La festa della purificazione

Vi si sente: “Questo mi basta, ho il redentore, la speranza dei pii, venuto tra le mie braccia bramose. Questo mi basta! L’ho visto, la mia fede ha impresso Gesù nel mio cuore”. Quaranta giorni dopo Natale, in queste parole appare chiaro il senso della festa. Se io ho veramente meditato Gesù in queste settimane e l’ho preso tra le mie braccia, questo mi basta, posso lasciare perdere le molte realtà che altrimenti mi bloccano. Il Natale mi restituisce al quotidiano. Con Cristo nel mio cuore posso affrontare la vita di ogni giorno in altro modo. Nei suoi canti, la liturgia dà espressione anche ad un altro aspetto di questa festa. Lo si trova nell’antifona che è cantata durante la processione della luce: «Adorna la tua camera sponsale, Sion, ed accogli Cristo re. Abbraccia Maria, la porta del cielo, poiché porta il re dell’eterna luce».

Il messaggio della festa

La festa della purificazione

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La festa ci invita ad accogliere Cristo nella stanza interiore del nostro cuore. Il nostro cuore è qui descritto come stanza sponsale. Le nozze tra Dio e l’uomo avvengono quando facciamo entrare Cristo nella stanza centrale del nostro castello interiore, come Teresa d’Avila chiama la stanza sponsale dell’anima umana. Nella festa lo si esprime con la processione della luce. All’inizio dell’eucaristia la comunità si raduna nella chiesa buia. Il sacerdote benedice le candele e le accende. Poi tutti avanzano con le candele accese nella chiesa.

La festa della purificazione

E’ un’immagine del fatto che la luce di Gesù Cristo avanza nel tempio del nostro cuore e illumina tutto ciò che vi è ancora di buio e di irredento.
Molte comunità cercano di celebrare questa festa in modo nuovo. Difatti, sentono che ha qualcosa di essenziale da dire alla nostra vita.

la festa della purificazione

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Oro incenso e mirra

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Oro incenso e mirra. È difficile immaginare un profumo più antico dell’incenso e della mirra. L’aroma è stato associato agli dei per secoli, indossato dai re in omaggio o usato come offerta nei templi delle dee della fertilità come Ishtar che si credeva potesse dare fortuna – non solo perché era bella ma anche perché questo tipo di pianta sarebbe cresciuta bene su qualsiasi terreno che avesse ricevuto abbastanza acqua piovana durante la stagione della semina!

I magi aprono i loro scrigni ed offrono al bimbo oro, incenso e mirra.

Il santo bambino è immerso nella luce mentre giace su un letto di fiori aromatici davanti a due figure vestite interamente di bianco che sembrano un coro che canta la lode a Dio stesso o alle Dee a seconda della prospettiva; l’antica tradizione esige riverenza per questi doni dati dai reali – anche se ciò significa la morte!

Fin dall’inizio si sono interpretati questi doni in svariati modi. Ireneo di Lione, nel il secolo, vede espressa nell’oro la dignità regale del bambino, nell’incenso la sua divinità e nella mirra la sua morte in croce. Questi vide che l”umanità di Cristo fu espressa in oro e mirra per onorare la sua divinità. Su una croce all’interno di questo tempio Gesù morì per i nostri peccati come sacrificio espiatorio – la stessa cosa che visse prima ancora di essere concepito da Maria (Salomè).

Oro incenso e mirra e i loro significati

Per Karl Rahner l’oro rimanda al nostro amore, l’incenso alla nostra nostalgia e la mirra ai nostri dolori.

Per lui tutte e tre le parole si riferivano non solo alle loro proprietà fisiche ma anche a qualcosa di più astratto – l’amore nell’oro che riflette il nostro desiderio come un sole della sera sull’acqua; i dolori resi manifesti profumandosi con le spezie come per ungere (qui l’ampiezza viene prima della profondità) o battezzandoli Completamente immersi nella sofferenza di Cristo perché anch’io la possa condividere”

Egli, quindi, vede nei doni non figure del mistero del bimbo divino, ma segni del nostro amore, dei nostri comportamenti umani che rispondono al Dio fattosi uomo.

Oro incenso e mirra

La Legenda aurea conosce anche altre interpretazioni. I re hanno offerto oro per la povertà di Maria, “incenso contro il cattivo odore della stalla, mirra per rafforzare le membra del bambino e per cacciare i vermi cattivi”. O ancora: l’oro indica la divinità, l’incenso l’anima devota e la mirra il corpo puro, poiché protegge da ogni impurità.

Evidentemente gli antichi provavano un certo piacere nell’esercitare, a proposito di questi doni, tutta la loro fantasia. In molte culture, l’oro è usato per indicare la divinità e l’incenso segna una persona che si sforza per la pietà. La mirra ci ricorda che la purezza in questo mondo dovrebbe essere curata sopra ogni cosa – non solo mentre siamo vivi ma anche dopo, quando i nostri corpi si saranno decomposti nelle loro parti componenti di terra o di letame rispettivamente!

oro incenso e mirra

I doni dei magi: l’oro

Oro incenso e mirra


L’oro ha sempre affascinato gli esseri umani.

L’oro ha sempre affascinato gli esseri umani. Dalla prima volta che l’uomo ha scoperto il luccichio nel cibo al suo uso come moneta, l’oro è stato un bene prezioso che ha significato ricchezza e prosperità per i secoli a venire.
Il colore giallo evoca anche pensieri di felicità – che può avere qualcosa a che fare con il motivo per cui molte culture lo hanno usato nel corso della storia su cose come ponti o templi in modo che la gente attraversasse in modo sicuro senza preoccuparsi di rimanere bloccati sotto di loro!

Gli antichi parlano dello splendore dorato degli dei. Per Clemente di Alessandria la sapienza di Cristo, in quanto sapienza del Lògos immortale, è l’oro regale. L’oro viene purificato con il fuoco. Nulla può essere mescolato ad esso. Da sempre l’oro viene usato nel culto. L’oro spetta agli dei.

L’oro era ricco, divino e sacro nelle culture antiche di tutto il mondo – è usato ancora oggi per la decorazione perché la gente sa quanto è bello questo metallo!

L’oro indica non solamente la natura divina del bambino nella mangiatoia, ma rimanda anche allo splendore aureo della nostra anima.

Il mondo è stato creato in oro, e le nostre anime riflettono questa qualità divina.
Nell’immagine della nascita di Cristo da Maria per tutti noi è un segno che anche noi possiamo avere una luce pura che risplende su di noi – ha solo bisogno di un po’ di aiuto per far risplendere quelle nuvole scure.

Noi non siamo semplicemente figli di questa terra, ma anche figli del cielo. La nostra anima rispecchia lo splendore aureo di Dio. Nel nostro volto risplende la gloria di Dio. Nella nostra anima abbiamo parte allo splendore di Dio.

Oro incenso e mirra, questi i tre doni fatti dai re Magi al Bambin Gesù.

L’oro dato a Gesù è uno dei doni più conosciuti nella storia. Sarebbe difficile per chiunque non sappia cosa significhi o perché sia importante, ma vi dico subito che ci sono alcune teorie piuttosto interessanti su come queste monete siano nate e da dove provengano!
Molte persone pensano che sia perché è stato incaricato da Dio stesso – dopo tutto, quando Gesù inizia a lavorare, i poteri dietro di lui sono più potenti del solito. Altre spiegazioni dicono che forse qualcuno ha cercato di dargli un premio?


oro incenso e mirra

L’incenso

Oro incenso e mirra

oro incenso e mirra

L’incenso è usato in molte culture come profumo gradevole.

L’incenso è un antico profumo arabo che è stato usato in molte culture per dare odori piacevoli. Deriva dalla Cannabis sativa, che era sacra sia per gli egiziani che per i fenici perché serviva sia come cibo per la vita che per altri usi come fare tinture o profumi”.

Gli incensi sono usati ritualisticamente da varie religioni in tutto il mondo, compreso il buddismo, dove vengono accesi durante i rituali di morte o le sessioni di preghiera come parte di certe cerimonie. Alcuni indù credono che bruciarli porti fortuna mentre altri pensano che porti sfortuna se non viene fatto correttamente.

Oro incenso e mirra

Parlando dell’incenso possiamo dire che si tratta di una sostanza che sale verso il cielo è figura della nostra preghiera che sale verso Dio, figura della nostra nostalgia che supera la nostra vita quotidiana. La nostra nostalgia sale come incenso verso il cielo. Non si lascia imbrigliare qui sulla terra. Possiede la leggerezza dell’incenso. Passa anche attraverso qualsiasi porta chiusa. Apre il nostro cuore e lo dilata. L’incenso ha un buon profumo. Riempie la nostra vita di un profumo carico di mistero, di un sapore divino.

Quando mi sono trovato sul monte Athos, mi ha affascinato il particolare odore dell’incenso che vi si usa. Le chiese profumano di questo odore. Ne nasce subito un senso di mistero, di accoglienza, di sicurezza, di nostalgia ed amore. Questo incenso sale lentamente, ma lascia dietro di sé in tutta la stanza un particolare profumo. Lo respiro in piena coscienza e mi sento toccato dal sapore divino.

Alcuni profumi subito mi riportano a coscienza particolari sentimenti del passato. Il profumo della paglia mi ricorda le vacanze. L’esperienza della vacanza non è presente solamente nella testa, ma in tutto il corpo. Lo stesso mi accade con l’incenso. Letteralmente vi respiro la presenza misteriosa di Dio, la percepisco con tutto il mio corpo.

La mirra


La mirra per gli antichi è un’erba del paradiso.

La mirra veniva usata come incenso nei templi e il suo odore dolce poteva indurre il sonno, così la gente spesso ne teneva un po’ a portata di mano per gli ospiti di benvenuto o per accogliere i bambini che tornavano a casa dopo lunghi viaggi all’estero:
1) Gli antichi egizi apprezzavano questa spezia perché pensavano che 1/5thmln di divinità risiedessero all’interno di ogni grano; 2) una volta si credeva che gli angeli portassero questi vasi fuori dall’inferno 3); ai soldati romani venivano dati balsami mescolati all’incenso durante la battaglia

Rimanda allo stato paradisiaco, del quale noi tutti abbiamo nostalgia. La mirra è nello stesso tempo un medicamento, un medicamento per le nostre ferite. Nel dono della mirra innalziamo le nostre ferite a Dio. Portiamo a lui quanto di più prezioso abbiamo, le molte ferite della nostra storia. Le ferite ci hanno scavato. Ci hanno costretto a prendere distanza dalla ricchezza esteriore. La realtà più preziosa che abbiamo è un cuore che è capace di amare.

Le ferite ci hanno messo in contatto con il nostro cuore. Noi portiamo al bambino divino il nostro cuore dolorante e ferito, nella fiducia che egli guarirà e trasformerà queste ferite. Quando noi offriamo al bimbo divino la nostra storia ferita e danneggiata, riusciamo ad intuire che tutto è bene. Non litighiamo oltre con le nostre ferite.

Passando per le nostre ferite arriviamo all’amore che risplende per noi nel bambino divino. Allora, nonostante le difficoltà esterne ed interiori, siamo veramente in paradiso.

oro incenso e mirra

Oro incenso e mirra: scegli il tuo dono

Oro incenso e mirra i doni fatti a Gesù


Scegli il dono che corrisponde a te e alla tua situazione del momento, portalo al bambino divino. Fatti guidare dall’immagine che meglio ti corrisponde. Ti condurrà al bambino. L’immagine ti aiuterà a prostrarti di fronte a colui presso il quale ti puoi sentire a casa e a dimenticarti di te stesso, per essere libero, smettendola di girare attorno a te stesso. Quando ti dimentichi, sei veramente te stesso, sei davvero libero.

oro incenso e mirra

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Il quarto re: la leggenda

il quarto re
il quarto re


Il quarto re. Vi è un’antica leggenda russa che racconta di un quarto re, che si mette in cammino insieme con gli altri tre.

Il quarto re

La storia racconta che nella terra di Russia c’era un re che aveva tre figli. Affinché potessero prendere il suo posto come sovrano e vivere i loro giorni in pace senza l’interferenza di altre persone o forze, avevano bisogno di tutti e quattro i cavalieri: guerra, carestia e morte (o tristezza). Quindi non fu troppo sorprendente quando un giorno quest’uomo si svegliò sentendosi molto triste per quello che sarebbe successo se solo fosse potuto morire!

Edzard Schaper ha ripreso questa leggenda e le ha dato una forma magistrale. Questo quarto re ha portato come dono per il bimbo divino tre brillanti pietre preziose. Era il più giovane dei quattro e a nessuno ardeva in petto una nostalgia più grande della sua.

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Il quarto re.. chi è?

Mentre camminava udi improvvisamente i singhiozzi di un bambino. Vide nella polvere “un bimbetto, inerme, nudo, che perdeva sangue da cinque ferite rosse. Questo bambino era particolarmente strano, così tenero ed inerme, che il cuore del giovane re si riempì di ardente compassione”. Lo sollevò e cavalcò indietro sino al villaggio che si era appena lasciato alle spalle. Là nessuno sapeva niente del bambino. Cercò una balia e le diede una delle pietre preziose, per assicurare la vita del bambino. Poi prosegue.

La stella gli mostra il cammino. Il bambino inerme lo ha reso sensibile per i bisogni del mondo. Arriva in una città nella quale gli viene incontro un corteo funebre. Un padre di famiglia era morto. Madre e figli avrebbero potuto essere venduti come schiavi. A loro diede la seconda pietra preziosa.

La leggenda del quarto re

il quarto re

Il quarto re…chi è?


Quando riprende il cammino, non riesce più a trovare la stella. E tormentato dal dubbio di essere stato infedele alla sua chiamata. Poi, improvvisamente, la stella torna a splendere. Lo conduce per un paese straniero nel quale infieriva la guerra. Alcuni soldati avevano raccolto gli uomini di un villaggio per ucciderli. Lui li riscatta con la terza pietra preziosa. Da quel momento non vede più la stella. Poverissimo si aggira per il paese e aiuta persone in necessità.

Il quarto re: la leggenda

Arriva in un porto proprio mentre un padre viene strappato alla sua famiglia per lavorare come rematore su di una galea per scontare dei debiti. Offre se stesso e lavora a lungo come rematore. La stella sorse allora nella sua anima: “Questa luce interiore lo colmava sempre più ed ebbe la calma certezza di essere in ogni modo sulla strada giusta”. I compagni di schiavitù e i padroni percepivano il particolare chiarore di questo uomo. Viene lasciato in libertà. In sogno vede nuovamente la stella ed ode una voce: “Fai in fretta! Sbrigati!”. Nel bel mezzo della notte si alza. La stella risplende e lo conduce alle porte di una grande città. Viene trascinato dalla folla su di un colle sul quale si trovano tre croci. La sua stella brilla sulla croce di mezzo. “Allora incrociò lo sguardo dell’uomo che stava appeso alla croce.

il quarto re

Lo stupore del re

Il quarto re

Quest’uomo doveva aver sentito tutta la sofferenza, tutto il tormento della terra: questo diceva il suo sguardo. Come anche tutta la misericordia e un amore infinito. Le sue mani, attraversate da chiodi, erano rattrappite per il dolore. Da queste mani martirizzate, però, partivano dei raggi. D’un lampo il re ebbe chiara coscienza: è questa la meta, verso la quale ho pellegrinato tutta la vita. Questi è il re degli uomini e il salvatore del mondo, per il quale mi sono consumato di nostalgia, colui che mi si è fatto incontro in tutti gli affaticati e gli oppressi”. Il re cade in ginocchio sotto la croce. Tre gocce di sangue cadono sulle sue mani.

Erano più brillanti delle tre pietre preziose. Quando Gesù muore con un grido, anche il re muore insieme a lui. “Il suo volto, anche nella morte, era rivolto al Signore e vi risplendeva una luce come da una stella raggiante”.

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Ogni volta che leggo questa leggenda, mi tocca profondamente. Forse dice anche a te qualcosa del mistero del Natale. Troppo spesso non riesci a veder brillare una stella. In te c’è il buio. Tu dubiti di essere sul giusto cammino. Eppure, se ti affidi alla vita, così come Dio ti chiede, agli altri che fiancheggiano il tuo cammino, se sei pieno di misericordia, un bel giorno la stella brillerà in te e tu troverai il bambino divino in ogni volto umano cui ti volgi e alla cui ricerca tu offri risposta.

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Santo Stefano: storia e leggende

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Santo Stefano. Già il giorno dopo Natale il cristianesimo celebra la festa di un martire.

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La Chiesa Cristiana Orientale (Ortodossa Orientale) segna questo evento con una festa annuale il 27 gennaio con la quale commemorano sia la nascita che la morte di Stefano; cade all’interno della loro osservanza commemorativa della Settimana Santa tra Pascha (Pasqua) dal lunedì al mercoledì sera/giovedì mattina, quando ci sono due candelabri accesi prima del servizio del Mattutino ogni notte fino alla domenica mattina delle Palme alle 6 precise…in latino inquisitione domini supplicanti placuit crucifigi eum et cum illo multa fecit mirabilia qui locutus est legem juxta mandatum Samuele.

Non ci si può immaginare un contrasto maggiore. Il bimbo divino giace nella mangiatoia e il giorno dopo si dice che la furia insensata del persecutore fa sentire lo stridore dei propri denti contro Stefano. Già i padri della chiesa hanno visto questo contrasto, ma hanno ugualmente legato l’una all’altra queste due feste. Fulgenzio da Ruspe (t 532), nella sua Predica per Santo Stefano, descrive in questo modo il legame tra le due feste: “Ieri abbiamo celebrato la nascita nel tempo del nostro re eterno, oggi celebriamo la sofferenza vittoriosa di un suo soldato.

Santo Stefano: storia e leggende

Oggi il nostro re, avvolto nel mantello della carne, usciva dal grembo della Vergine e visitava nella grazia il mondo, oggi il guerriero ha perso la tenda del corpo ed è andato vincitore in cielo”. Intende dire che Cristo nella sua incarnazione non è venuto a mani vuote, ci ha portato il dono dell’amore per condurci a prendere parte alla natura divina: “L’amore, che ha portato sulla terra Cristo, il signore dei cieli, ha sollevato Stefano dalla terra al cielo. L’amore, che è brillato dapprima nel re, risplendette poi nel suo guerriero”.

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Santo Stefano: i racconti

Chi era Santo Stefano?


Quanto Fulgenzio espone qui nella sua predica con grande effetto, corrisponde alla visione di Luca. Luca descrive Stefano come un uomo ripieno dello Spirito Santo. E figura del vero cristiano. Noi tutti, che abbiamo ricevuto lo Spirito di Gesù Cristo, in questo Spirito siamo divenuti capaci di un amore che perdona addirittura i nemici. Quanto Gesù ha pregato sulla croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Le 23,34), lo prega con parole simili Stefano: “Signore, non imputar loro questo peccato!” (At 7,60). Nella figura di Stefano si riesce a vedere l’unità di greppia e croce, già apparsa nel racconto della nascita in Le 2.

Santo Stefano

Come la gloria di Dio è apparsa proprio nella povertà e nella umiltà della greppia, così Stefano, di fronte alla morte, vede i cieli aprirsi e Gesù stare alla destra di Dio (cfr. At 7,55s.). Il messaggio di Natale deve essere dimostrato nell’amore, che mette anche noi in difficoltà, che in qualche modo ci mette in croce, che porterà anche noi in situazioni cui sapremo resistere solamente se vedremo i cieli aprirsi.
Le leggende e l’arte hanno ripreso assai presto la figura di santo Stefano.

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La leggenda di S. Stefano

Una leggenda racconta che Stefano era stato stalliere di re Erode. Come i magi, vede brillare la stella di Betlemme e la interpreta come riferimento al nuovo re, a Cristo. Per questo Erode lo fa lapidare. Anche se questa leggenda non ha nessun fondamento biblico, collega a proprio modo greppia e croce, Natale e martirio di Stefano. Stefano deve morire, perché ha visto la stella, perché ha creduto alla voce interiore del suo cuore. Non attribuisce al re terreno alcun potere, ma crede nella forza del re messianico. Ciò fa nascere l’opposizione e la paura di Erode. Gli lanciano addosso pietre che lo uccidono.

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Nella figura di Stefano puoi vedere di che cosa puoi essere capace. Anche tu sei pieno di Spirito Santo, che ti rende simile a Cristo. Nella sua forza, come Stefano, puoi servire alla vita: ‘servitore’ è la traduzione letterale di quanto faceva. Tu stesso puoi perdonare a coloro che ti buttano addosso pietre. Chi ti getta addosso pietre mostra solamente di essere lui stesso indurito e irrigidito. Invece, chi, come Stefano, serve alla vita non si fa contagiare dalla rigidezza e dall’indurimento dei cuori. Mantiene aperto il proprio cuore all’amore. L’amore aprirà anche a te i cieli e tu vedrai in cielo colui cui tu aneli nel profondo del tuo cuore.

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Il bue e l’asino

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Il bue e l’asino. Da quando ci sono rappresentazioni della nascita di Gesù, vi sono sempre il bue e l’asino, anche se i due animali non sono nominati nemmeno in Luca. Eppure già Origene (t 254 ca.) ha posto il brano di Is 1,3 in relazione con la mangiatoia a Betlemme: “Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”. Mentre gli esseri umani non riconoscono Gesù come il Messia, il bue e l’asino riconoscono nel bimbo posto nella greppia il loro Signore.

Gregorio di Nissa (t 394) interpreta così l’immagine del bue e dell’asino: il bue indica la legge ebraica, alla quale egli è legato come al giogo; l’asino è il simbolo dei gentili. Difatti, egli porta il peso dell’idolatria. Tra il bue e l’asino vi è il bimbo divino, che libera sia gli ebrei che i gentili dal loro giogo e dal loro peso.

Il bue e l’asino: interpretazioni

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L’interpretazione dei padri della chiesa mostra chiaramente che il bue e l’asino sono intesi in senso simbolico. La loro interpretazione è comunque significativa. Con la prima immagine si indica che gli animali hanno un senso per Cristo, mentre gli esseri umani con argomenti chiassosi nascondono lo sguardo al mistero dell’incarnazione.

Noi oggi ne daremmo un’interpretazione piuttosto nella direzione della psicologia del profondo, cioè come simbolo della natura impulsiva ed istintiva dell’essere umano. I nostri istinti e le nostre pulsioni comprendono meglio il mistero della trasformazione che diventa visibile nell’incarnazione di Dio in Gesù Cristo.

Le pulsioni possono essere trasformate in atti spirituali, gli istinti in sapienza. Lo mostrano molte fiabe. I due figli più anziani del re non badano a quanto gli animali dicono loro. Il più giovane dei figli, invece, ascolta gli animali. Accoglie la loro richiesta di aiuto. Per questo essi si trovano al suo fianco nelle situazioni critiche e gli mostrano la via per arrivare all’acqua della vita. Se ascoltiamo le nostre pulsioni e i nostri istinti, essi ci spingono alla greppia, nella quale si trova il bimbo divino, e ci mostrano la via per la vera vita.

Leggende sul bue e l’asinello

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Chi, invece, reprime le proprie pulsioni e i propri istinti, chi vive solamente con la testa, perché vuole pilotare e decidere tutto a partire dalla testa, vive al di sotto delle proprie possibilità, rimane straniero a se stesso, in lui non può nascere niente di nuovo. Abbiamo bisogno degli animali, abbiamo bisogno delle pulsioni e degli istinti. Senza di essi non vi è rinnovamento nella vita, non si può rinascere. Il bue e l’asino alla greppia ci invitano a lasciare da parte i nostri condizionamenti razionali e a dedicarci umilmente agli animali che ci sono in noi. Sono più vicini al bimbo divino che non la nostra testa, che riflette solamente sul bimbo, senza riconoscerlo.


Molte leggende raccontano che il bue e l’asino hanno riscaldato con il loro alito il bimbo che aveva freddo. Sono come un luogo materno di protezione per il bambino. Similmente le pulsioni e gli istinti in noi sono un luogo di protezione che ci nutre e ci riscalda, nel quale può nascere e crescere in noi qualcosa di nuovo, senza che si raffreddi nel freddo di questo mondo.

Il bue e l’asino: pensieri filosofici…

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Aniela Jaffé, una discepola di C.G. Jung, dice che sia lo spirituale che il naturale sono esperienze del numinoso e superano la ristrettezza dell’io. L’istinto e la natura spirituale fanno parte entrambi della totalità dell’essere umano e si trovano in una misteriosa relazione di reciprocità.

Senza di essi l’essere umano non può trovare il proprio sé. Il bue e l’asino riscaldano con il proprio alito il bimbo divino: si esprime in modo figurativo che la parte naturale ed istintiva nell’essere umano può riscaldare e nutrire lo spirito, che lo spirito in noi senza questo slancio vitale diventa freddo e si irrigidisce.


Anche la seconda immagine dei padri della chiesa potrebbe essere per noi una lieta notizia. Bue ed asino, pulsioni ed istinti non sono solamente forze positive. In sé sono ambivalenti. Possono simbolizzare anche la parte pesante, dura, ottusa della legge e il peso dell’idolatria. Il bue, che ‘procede’ guardando fisso davanti a sé, e l’asino, che crolla sotto il peso che porta, sono immagini di comportamenti di vita che tutti conosciamo. Noi spesso percorriamo testardi la nostra strada, senza guardare a destra o a sinistra. Ci carichiamo troppo peso addosso, perché non abbiamo una misura.

Continuando…

Cristo nasce come un bambino nella nostra religiosità legalistica. Un bimbo non ha il senso della legge. Con il suo amore spontaneo manda a monte tutte le leggi. Non ha il senso del peso dell’idolatria, delle fatiche dell’ascesi da noi stessi scelta, con la quale noi pensiamo di costringere Dio nei nostri schemi e di poter fare del nostro io una divinità. Il bimbo crede che tutto sia facile. Invece di accollarci pesi, egli ci avvia verso la leggerezza dell’essere. Dal Natale promanano le due cose: la spontaneità dell’amore e la leggerezza dell’essere.
La Legenda aurea vede nel bue e nell’asino i rappresentanti di tutta la creazione. Tutta la creazione prende parte alla redenzione.

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Lo esprimono molte leggende. Per alcune nella notte santa fioriscono le rose. Per altre la foresta si muta in un giardino pieno di fiori. Oppure la stessa natura inanimata è toccata dall’incarnazione di Cristo. La colonna di Romolo si spezza, da una fontana di Roma, nella notte di Cristo, sgorga olio invece di acqua. Le immagini di queste leggende ci mostrano che tutto in te e intorno a te può essere cambiato con l’incarnazione di Gesù, anche quanto è duro, inconscio, terreno, pulsionale. Tutto in te diventerà nuovo. Difatti, Ambrogio dice: “Non ci dobbiamo meravigliare che con la nascita di Cristo tutto diventi nuovo, poiché è nuovo proprio colui che nasce da una vergine”.

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La pace del Natale

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La pace del Natale. L’augurio centrale del Natale è che sulla terra ci sia pace. Nei discorsi del presidente tedesco in occasione del Natale viene sempre ripreso il tema della pace. Nella liturgia il tema della pace è continuamente toccato. Già i primi vespri del Natale iniziano con l’antifona Rex pacificus, cioè II re della pace. Gli angeli lodano Dio nell’accampamento dei pastori con il canto natalizio: “Gloria a Dio nell’alto e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14).

La pace del Natale

Con la nascita di Gesù si mostra sulla terra lo splendore che spetta a Dio nei cieli. Se la gloria di Dio appare tra noi, è eliminata la frattura tra Dio e l’umanità, c’è pace tra Dio e l’umanità. Questa pace rende possibile anche la pace tra gli esseri umani. Difatti, solamente l’uomo alienato da se stesso e da Dio è incapace di pace. Quando è in pace con se stesso e vive in pace con Dio, manterrà la pace anche con i suoi fratelli e le sue sorelle.

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La pace del Natale: il messaggio

La pace del Natale

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Certamente, con il suo annuncio di pace natalizio Luca ha proposto un programma alternativo alla pace imperiale di Augusto. Luca collega apposta la nascita di Gesù all’imperatore Augusto, che ha dato l’ordine di registrarsi nelle liste dell’erario.

Augusto per i contemporanei era il grande pacificatore, che aveva reso possibile la pace in tutto il mondo. Nell’anno 9 a.C. si era per questo costruita in Roma l’ara pacis, l’altare della pace. Nell’iscrizione di Priene, di questa stessa epoca, si legge: “La provvidenza, che domina su tutti i viventi, per la salvezza degli esseri umani ha colmato quest’uomo con tali doni da mandarlo a noi e alle generazioni future come salvatore; egli porrà fine a tutte le discordie”.

Luca vuole mostrare ai suoi contemporanei che Gesù è il vero portatore della pace. Quando Gesù è nato in Betlemme gli angeli hanno annunciato la pace. Questa pace non è solamente una pace intramonda-na, ma ha le sue radici nella gloria di Dio, che si è chinato sulla terra nell’incarnazione del Figlio.

I riferimenti a Cristo


La pace che Cristo ci porta con la sua nascita non è solamente la fine delle guerre intramondane. Indica piuttosto lo stato di salvezza di tutto l’essere umano in tutte le sue componenti. Indica che l’essere umano può essere in completo accordo con se stesso, poiché si sa amato da Dio in tutto e per tutto. Con la nascita di Dio come un bambino l’essere umano può giungere all’armonia con se stesso.

Egli sente che essere uomo non indica più alienazione, separazione dall’origine divina, come aveva pensato Platone. Se Dio diventa uomo, l’uomo può accettare incondizionatamente se stesso, scopre la propria dignità divina. Questa armonia con noi stessi ci rende possibile anche la pace con la creazione e la pace con gli altri. Non sono più nostri nemici. Se ci osteggiano, auguriamo loro la stessa pace che sperimentiamo nei nostri cuori.

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La pace del Natale: pace interiore

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A Natale faccio esperienza di questa pace interiore quando penso che Cristo è nato in me. Se guardo dentro me stesso, allora non incontro solamente i miei problemi, la mia lacerazione, i miei desideri delusi e le illusioni, le mie ferite e le mie malattie. Io sento che dentro di me vi è un luogo che è pieno di pace, poiché Cristo stesso vi abita.

A partire da questo luogo interiore posso arrivare alla pace con me stesso e con la mia vita. Da questa esperienza di pace interiore provengono anche i pensieri di pace nei confronti del mio prossimo.

Non vi hanno spazio pensieri aggressivi o pieni di rabbia. La pace non è per me solamente un appello perché io viva in pace con tutti. Piuttosto, la pace con gli altri scaturisce dall’esperienza della mia pace interiore. Io non devo affatto creare la pace. In me c’è pace, una pace che si diffonde da sola.

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La mangiatoia e le sue rappresentazioni

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Nella descrizione della nascita di Gesù, Luca nomina due volte la mangiatoia nella quale era stato posto. Maria “lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,7). Probabilmente era una mangiatoia scavata nella roccia quella nella quale fu posto Gesù. A Betlemme vi erano case che erano costruite sopra una grotta. La grotta serviva all’alloggiamento degli animali. Vi erano mangiatoie di roccia e greppie scavate nella roccia.

La parola greca katàlyma (locanda) indica certamente la stanza situata sopra la grotta. Poiché in questa stanza non vi era posto per il bimbo appena nato, rimaneva solamente la stalla con la greppia. E un’immagine della povertà del bambino, nel quale brilla la gloria di Dio. Due volte (Le 2,7.12) Luca ricorda anche che il bambino era stato avvolto in fasce. Evidentemente è riferimento al fatto che Gesù è un bambino reale, normalissimo e non un bambino prodigio.

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La mangiatoia e le sue raffigurazioni

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Nel corso della storia gli artisti hanno raffigurato la mangiatoia in svariatissime forme. In oriente prende la forma di una greppia di pietra, che sembra una tomba. Il bimbo è fasciato come un cadavere. Qui la greppia rimanda certamente al sepolcro di Gesù, dove Gesù è nato una seconda volta nella risurrezione.

Solamente lì la morte è stata vinta per sempre. La nascita di Cristo è causa del fatto che noi nella morte rinasceremo alla vita ultraterrena. L’incarnazione, la passione e la risurrezione sono parti di una stessa scena. Nell’arte bizantina, ma anche in occidente vi è il tipo della greppia ad altare. Questa figura rimanda certamente all’eucaristia. Betlemme, tra l’altro, significa nella traduzione ‘casa del pane’.

Nell’eucaristia si celebra sempre in modo nuovo il mistero dell’incarnazione di Dio. Vi mangiamo il pane che scende dal cielo. Nel medioevo la mangiatoia è per lo più raffigurata come greppia di legno, nella quale la paglia prepara un posto morbido per il bambino. Qui la greppia è inserita nella vita quotidiana dei contadini.

La mangiatoia e l’arte


L’arte, con le sue varie raffigurazioni della mangiatoia, ha sempre espresso un messaggio teologico. Si tratta della povertà di Gesù. Dio viene in grandissima povertà. E’ avvolto in fasce, avviluppato in stracci. Non viene nella gloria, ma in modo semplice. Dio è veramente diventato uno di noi.

Sì, il bambino nella mangiatoia mostra che Gesù già dalla sua nascita è stato solidale con i poveri di questo mondo, che egli ci appare soprattutto nel volto dei poveri. Gesù è posto in una mangiatoia che contiene il cibo per gli animali. Poiché gli esseri umani non l’accolgono, giace dove gli animali hanno nutrimento. Gli animali, invece, gli lasciano la loro mangiatoia. Lo accolgono. La natura irrazionale sente che in quel momento una madre ha bisogno di un posto per il suo bambino.

Al contrario le persone umane, che riflettono troppo, se la squagliano di fronte alla richiesta di aiuto. Altri aiutano, senza pensarci su troppo. E’ come un riflesso. E’ ovvio che si diano da fare quando qualcuno si trova in difficoltà. Hanno un sesto senso per il Figlio di Dio divenuto uomo. Lo vedono in colui che ha bisogno del loro aiuto, senza rendersene conto.

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La visione del popolo


Il popolo ha raffigurato amorevolmente la mangiatoia fin dal medioevo. In tutti i popoli vi sono raffigurazioni della mangiatoia. Gli artisti hanno raffigurato la nascita di Gesù in mezzo al proprio mondo, nella vita quotidiana dei campi o nel mondo degli artigiani. Nel presepe compaiono i rappresentanti della società del tempo. Tutto il mondo è in pellegrinaggio verso la greppia per adorarvi il bambino.

L’origine di questa ‘pietà da presepe’ è stata non solamente la celebrazione natalizia del presepe, fatta da S. Francesco nel 1223 nel bosco di Greccio insieme ai confratelli e a moltissima gente, ma soprattutto fu l’usanza della ‘culla del bambinello’, diffusasi soprattutto nei conventi delle domenicane. Le monache dovevano portare un Bambino Gesù di cera all’entrata in convento.

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Durante il tempo di Natale dovevano prepararsi con esercizi spirituali alla nascita del bambino divino. Per il tempo di Natale questo bambino era accudito come un infante vivo, riceveva baci e portato al seno e riposto a dormire.

Mentre le monache portavano il piccolo al seno e lo ninnavano, si immergevano nel proprio amore a Gesù. Il fatto di cullare il bambino era parte della loro mistica d’amore.

Corrispondeva alla richiesta profonda di rendere vivo e sensibile l’evento misterioso della nascita di Gesù per risvegliare un profondo amore per il Figlio di Dio fatto uomo. Il fatto di cullare il bambino era usuale anche presso il popolo. Molti canti natalizi dei secoli xiv e xv sono ninne nanne. Li si cantava nella liturgia mentre il sacerdote cullava il bambino mostrandolo al popolo.

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Il giorno di San Nicola: la storia

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giorno di San Nicola


Il giorno di San Nicola è la festa dei bambini. Tuttavia, al di là delle falsificazioni che questo santo ha subito nel corso dei tempi, sarebbe importante capire il vero segreto di questa persona.

Il giorno di San Nicola

In Russia, Nicola è il santo più onorato dopo Maria. La gente è talmente affascinata da lui da rappresentarlo sempre sulle icone. Io stesso ho nella mia cella un’icona di San Nicola. Mi viene incontro una persona che è divenuta in tutto e per tutto amore, che promana dolcezza e bontà.

Il giorno di San Nicola: cosa rappresenta?

Nicola rappresenta la persona paterna, che si dà da fare quando gli altri sono nel bisogno, che è capace di compassione, che aiuta con discrezione. In molte regioni è considerato il santo da invocare quando si vivono difficoltà personali. Scopriamo tutto ciò che c’è da sapere sul giorno di S. Nicola.

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Leggende del Giorno di San Nicola

Il giorno di San Nicola e le sue leggende…

Se osserviamo le leggende riguardo il giorno di S. Nicola e quelle che si sviluppano attorno alla sua persona, hanno tutte una profonda importanza per la nostra vita. Quando Nicola vede che un povero suo vicino vuole vendere le sue tre figlie in un bordello, getta tre volte un sacco d’oro per la finestra, perché ogni figlia possa avere una dote sufficiente per il matrimonio.

Sente quale tribolazione sia per un padre utilizzare le proprie figlie per poter egli stesso sopravvivere. Egli entra in azione perché le figlie possano percorrere la loro strada e non siano più utilizzate dal padre per i propri scopi. Nei confronti della figura paterna negativa, Nicola rappresenta la figura del padre che lascia liberi i figli, che rende loro possibile seguire il proprio desiderio.
Una signora andò in fretta alla chiesa per sincerarsi del fatto che Nicola fosse stato ordinato vescovo. Quando tornò a casa, trovò il bambino completamente ustionato, perché si era avvicinato troppo alla stufa. Lo porta a Nicola. Questi lo benedice. Il bimbo torna sano.

Il giorno di San Nicola…

Qui si tratta di una madre che trascura il proprio bambino, perché le sembra più importante seguire la propria curiosità. È talmente occupata dai propri pensieri che dimentica il proprio bambino. Nicola, qui, come figura paterna supplisce anche la madre; ha anche aspetti materni. Egli crea un clima, nel quale i bimbi possono tornare sani.

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La bontà di S. Nicola

Il giorno di San Nicola


Nicola prende la parte di tre cittadini condannati ingiustamente. Egli strappa al boia la spada e chiede al giudice di rendere noti i motivi della condanna. Il giudice si inginocchia tremante, riconosce la sua colpa e chiede di non denunciare all’imperatore il fatto. Similmente il vescovo prende le parti di tre comandanti imperiali condannati. E’ l’uomo onesto. Non può restare ad assistere, quando qualcuno è condannato ingiustamente.

E’ il padre che dà ragione ad ognuno dei figli, che dà a ciascuno quanto è giusto perché possa vivere giustamente.
Se tu osservi te stesso alla luce di queste leggende, puoi domandarti se tu utilizzi i tuoi bambini o i tuoi amici e se tu li lasci liberi, se tu trascuri il tuo lato paterno o materno.

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S. Nicola ti darà il coraggio di riscoprire i tuoi lati paterni e materni. In te si trova la figura archetipa del padre, che protegge gli altri e li incoraggia alla vita. Qui risiede la figura della madre, che dona sicurezza e protezione agli altri, che li nutre e cura le loro ferite. In te vive l’uomo mite ed onesto, che vede la necessità degli altri. L’usanza di regalare il giorno di S. Nicola dei dolci ad altre persone è per questo molto significativa. Non guardare solamente a te stesso, ma anche a coloro che soffrono per l’amarezza della loro vita. Forse S. Nicola risveglierà in te la fantasia per riuscire ad addolcire la loro vita.

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